Ignazio Apolloni E possibile essere proletario in camicia bianca? È possibile essere antigruppo e costringere gli ospiti a lavarsi le mani, bene però, prima di sedersi a tavola? È possibile staccare il telefono per fare la siesta, barricarsi dietro il portiere per stare in pace mentre gli altri antigruppo ragionano e sbraitano e infuriati si chiedono perché Ignazio non risponde al telefono e perché non si può passare oltre il fortino-banco portiere per andare a suonargli alla porta? È possibile venire a casa mia e rifiutare di mangiare mentre mangia in tutti i ristoranti della Sicilia? Ma chi è Ignazio? Perché gli antigruppo gli stanno vicino? Barba tipo faraone, occhiali lindi che continua a pulire ad ogni discussione, fuma la pipa come Sadat d’Egitto mentre fa un discorso diplomatico; pantaloni e giacca sempre ben stirati gli fasciano il corpo; si può proprio definire un uomo chic. Ma oltre la sua colonia e la sua giacca di cuoio vero e le sue lamentele che mi lavo poco perciò puzzo, continuo a chiedermi e a chiedere a Ignazio se il pallino della pulizia sia suo o una fissazione acquisita dall’ ambiente casalingo. Oppure è un retaggio borghese, perché Ignazio è onestamente e onorabilmente borghese. Quando io cammino egli va in carrozza, mentre durante i viaggi in macchina io mangio un panino, egli si ferma al ristorante. Ignazio vuol vivere da signore, eppure dietro la sua giacca di pelle vera qualcosa lo spinge e lo fa rifugiare in mezzo a selvaggi proletari, lasciando la compagnia dei signori bene. E perché? Perché, tutto quello che ho detto di lui, Ignazio nel suo intimo è un proletario, di quelli che cadono sulle loro gambe anche dopo aver fatto un salto sui quartieri alti della città. Ignazio ha vissuto in America, ha visto i negri e i messicani e i portoricani e l’ha respinta non riuscendo a trincerarsi dietro il benessere della falsa media borgheia che gli Stati federali propinano su piatto d’argento e dentro calice d’oro tempestato di rubini e diamanti. E va bene, dico, ho i piedi che mi puzzano e lui no, non ho paura dei batteri e lui sì, ma siamo lo stesso due scrittori proletari che si trascinano le loro mogli un giorno a Caitanissetta e un altro a Catania o a Aliminusa oppure a Isneilo. A Caitanissetta quel giorno c’ era un altro scrittore antigruppo, Antonino Cremona, padre avvocato e forse nonno giudice, ma noi lo stesso spianammo le nostre armi. Tu, Ignazio, la tua mitragliarice, io il mio cannone. Ta-ta-ta-ta. Buum buuumm.
Leggere le parole di Santo: «ruffiano no, ma integrato sì», siamo libertari abbasso i baroni, gridava dal grosso volume Bonanno con parole di Santo. E fu così che gli altri mossero in ritirata sull’altra sponda del canale mentre Ignazio, messa fuori la pipa alla Sadat, tirava lunghe boccate di fumo, ma ci sentivamo sul quasi finché non leggemmo l’articolo sul Ponte di Zagarrìo. Santo è la Sicilia e tutti lo sapranno nel mondo come è vero che Alfredo Bonanno è libertario e Angela Davis non poteva rimanere in carcere. Resistenza mentre A. Bonanno cammina nel Boulevard di Saint Germain, parlez vous francais? Antigruppo, «minchia la parola è santa!». Chiedetelo a Ignazio e a Nat. Il barone cedette e cominciò ad accusarci alle spalle, ma non è vero che io e Apolloni siamo venuti dell’America per bombardare la Sicilia e far cadere la pioggia, semmai per far cadere i baroni e tu e io e tutto il popolo lo sappiamo, basta ergere quello che c’è scritto sulle nostre camicie, Vira ha tutto un metodo antigruppo perché lo scritto non scompaia con il bucato. Sono parole di fuoco, né mafia né gruppi di eletti possono dividere gli antigruppo in gruppi anti o gruppi isolati, ormai è corrente che risucchia in alto e cambia il clima dell’isola. Qui non si può più venire a tenere la lezione dalla cattedra, i tempi sono cambiati, chiedetelo a Sciascia o a Antonio Sacca. Sacca è nostro amico mentre scendiamo dalle nostre montagne per chiedere che musiche ancora possiamo suonare e che ballare selvaggio nella selvaggia Sicilia possiamo noi, più pazzi del vento.