Quando penso all’antigruppo Trapani o a Trapani antigruppo penso invariabilmente a Franco Di Marco. So che gli antigruppo di Palermo dicono antigruppo Palermo, quelli di Mazara dicono antigruppo Mazara e lo stesso quelli di Castelvetrano e quelli di Catania e persino quelli di Linguaglossa, scusami Santo. Così quando si muove la superficie del mare attorno alla Sicilia, sono onde antigruppo, e davanti alla spiaggia di Schisò o alle isole Egadi, nei caldi pomeriggi d’estate, è calore antigruppo che fa muovere aria e onde, è spirito vitale che si muove in quello azzurro su una barca bianca, davanti a una cassetta trasmittente «alò alò, qui Trapani, qui Trapani, sei tu, Santo? alò, passo e chiudo»; Tanti- gruppo trapanese Franco Di Marco sta veleggiando in continuo contatto con – il resto del mondo. Cosa risaputa da tutti, Franco ama sopra ogni altro amore la sua Trapani e non importa se qualche volta gli senti dire; «devo andarmene di qua, voglio andare a Roma, la vita, lì, è tutt’altra cosa», poi però, resta a Trapani. E non è solo sua moglie che lo tiene legato alla montagna di Erice, ma le sue profonde radici abbarbicate alle falde della montagna, in una collina che ha nome Custonaci dove fino a pochi anni fa visse sua nonna ultra centenaria (non per niente aveva il nipote medico). Ci volle il terremoto per farla fuori, poveretta! Il nipote se la portò in aperta campagna e lei non voleva andare, «voglio morire nel mio (etto, qui nel mio letto», ma tutti scappavano e così la vecchia fu messa in macchina dove c’erano già i figli e la suocera e la moglie del nostro che ha radici proprio profonde in questa parte occidentale della Sicilia tanto che, depositati moglie figli suocera ecc. nell’ Urbe, se ne tornò a Trapani a curare terremotati e nonna che nel frattempo aveva preso la bronchite. Il nostro, dunque, non può scuotere le spalle e dire «sono un uomo moderno, sono T uomo nuovo». Assolutamente no. Le ombre del passato lo perseguitano e lo legano qui a questa falce. A proposito, c’era una volta a Trapani una spiaggia pulita anche se con poca sabbia, pulita e frequentata solo da gente bene. Lì, Franco, allora non era un medico molto conosciuto, affittò una capanna con un gruppo di amici, voleva godersi il mare, il sole e la compagnia di una bella ragazza bionda. Un giorno però ebbe una apparizione, vide tre sagome avvicinarsi e, strano, venivano proprio verso di lui. Non sapeva chi fossero e le guardava incuriosito. Come erano vestite? Di nero, si capisce, come ogni donna siciliana si veste per ricordare lo zio Ciccio, il cugino Peppe o il nonno Gaetano. Chi erano? Erano le tre vecchie zie di Franco, avevano bisogno del casotto. La più grossa e la più aggressiva disse: «Non ti preoccupare, Franco, non ti daremo molto fastidio» e seguita dalle altre due scomparve dentro. Franco restò a bocca spalancata. Che volevano le vecchie zie, volevano fare un bagno? e perché non l’avevano avvertito? Dando una scrollatina di spalle si volse alla sua comitiva, ma non perdeva d’occhio la porta del casotto. Intanto la signorina bionda gli si avvicinò e con occhi sgranati chiese: «Chi sono?». Franco inghiottendo amaro le rispose: «Sono mie lontane parenti. Zie, non di primo grado, s’intende». E quelle ancora non uscivano; certo ci voleva tempo per disfarsi di tanta roba nera che portavano addosso. E venne il momento, finalmente, in cui la porta del casotto fu aperta lentamente e un piede apparve e poi, di colpo, nella luce e nel colore che inonda ogni luglio tutta Trapani, si vide una figura bianca e poi apparve la seconda figura bianca e anche la terza. Che avevano indossato? chiedetelo a Franco, il quale non trovò alcun posto dove nascondersi mentre gli amici lo guardavano meravigliati. Una due e tre camicie bianche con merletti all’orlo e con maniche lunghe fino al polso; di sotto uscivano tre paia di piedi nudi che lentamente si avviavano verso la sabbia. In testa, depositato il cappellino nero, le zie avevano messo un fazzoletto bianco, non si sa mai il sole di luglio può fare male, può dare alia testa. Ci vollero anni prima che Franco si riprendesse dallo shock avuto per quella apparizione che rivelava le sue profonde radici in questo profondo Sud. Inutilmente egli cerca di sradicarle magari allontanandosi da questa terra, la vecchia Sicilia è qui, lo attende e sa che egli è cosa sua Sua anche se ora rappresenta la nuova dell’umanità siciliana. Infatti, come i suoi antenati, egli stringe ogni lira che guadagna. Prima che gli fai uscire un biglietto da mille glielo devi tirare con le tenaglie. Trapanese fino a! midollo il nostro, proprio come lo zio Rocco, quello tanto, ma tanto ricco, anche lui medico e vero establishment del trapanese. Sapete che il fratello di Franco è comunista e anche il cognato? Ma non lo dite a sua moglie, per favore. Quella lo tira a destra, sempre più a destra, tanto che Franco è diventato l’ala sinistra della destra, una posizione scomoda, non vi pare? Per questo concludo che Franco è più a sinistra di tutti noi, più a sinistra di Certa che, certe volte, sta a destra della sinistra; più a sinistra di Cane che non conosce la destra; e più libertario di tutti messi insieme perché approva i miei ventun punti. «Sono d’accordo, d’accordo». Il più d’accordo antigruppò anche se in disaccordo con gli altri e paga di persona il suo rifiuto di inserirsi nell’establishment. E non grida come Crescenzio Cane, ma ha maniere squisite, un inchino preciso e compiuto e intanto tira fuori il suo sorrisetto ironico che non è quello di Ignazio Apolloni perché è solo il sorriso di scherno che può fare un trapanese; uno scherno sottile, amabile, direi, e pur tanto frustante e profondo. Ma stavo parlando dello zio Rocco che in pieno luglio decide di mangiare pasta e fagioli anche se sotto il suo materasso i soldi accumulati fanno grossi bozzi. E così, poiché non si concedeva il lusso di una domestica, un giorno si mise a cucinare la pasta e fagioli. E non cucinò un sol piatto perché sarebbe stato sciupìo di carbone, ma tre piatti preparò di pasta e fagioli. Uno oggi, uno domani e l’altro dopodomani. Ma giunto che fu a dopodomani, il vecchio, aprendo la credenza, dovette turarsi il naso, tanto era il tanfo di cui era piena in quel giorno di caldo scirocco estivo. E così che cosa fece il vecchio trapanese? Stringendosi il naso con una mano, con l’altra tirò fuori dalla credenza il piatto di pasta e fagioli, ma credete che pensò di buttarla? Nemmeno per sogno! Cercò in un altro lato della credenza una bottiglia di marsala all’uovo e versando in un bicchiere il liquido rosseggiante disse a se stesso; «Caro, se riesci a mangiare quella pasta ti regalerò questo bel bicchierino di Marsala, ti va?». Poi cominciò la difficile operazione di ingoiare quella poltiglia nauseabonda; soltanto un trapanese poteva riuscirvi. Sfido qualsiasi palermitano, il più morto di fame o un mazarese o un marsalese a fare altrettanto; solo un trapanese può farlo. E quando, paonazzo dallo sforzo e scolante sudore per il tremendo scirocco, inghiottì T ultimo boccone, alzò il bicchiere contro il sole, lo guardò mandare riverberi rossi sulle sue dita che lo tenevano, poi lentamente cominciò a versarlo nella bottiglia, esclamando soddisfatto: «Eh, vecchio mio, ti ho preso in giro! Ti ho fregato, fregatoooo!». Certo, il nostro non è così tirchio, è semplicemente un tirchio ragionevole, è un vero cittadino trapanese responsabile, potete essere sicuri che, se tutti gli italiani fossero come lui, oggi l’Italia non avrebbe bisogno di un La Malfa che cerca di raddrizzare il bilancio dalle svariate curve. Ma questi sono aspetti di un Franco liberale; c’è un altro lato di Franco che molti vogliono misconoscere, e io l’ho sempre detto che quando un liberale è buono, sotto sotto è un anarchico responsabile, ma non ditelo a sua moglie per favore. Quando un liberale è come lui, è spiegabilissimo che si senta attratto dall’ideale dell’anarchico. Sapendo questo gli ho fatto dondolare davanti certi princìpi senza dirgli che sono anarchici e così a ogni scoccare di pendolo egli: d’accordo d’accordo d’accordo. Sono sicuro che quando gli italiani avranno capito cosa vuole l’antigruppo, che cosa abbiamo gridato, e non inutilmente, e respirato nei nostri sogni, si rivolgeranno a Franco, il trapanese, e soltanto allora nascerà in Italia una nuova sinistra. Gli uomini dalle buone intenzioni si libereranno di tutti i partiti, non creeranno più gruppi dì inclusi e altri di esclusi e allora sì che Franco scenderà nell’arena politica e lascerà a casa il suo sorrisetto ironico. Non so perché, ma quando penso a Franco Di Marco, gli associo sempre altri che non sono entrati nell’antologia Antigruppo 73, per semplice errore, s’ intende, o perché Santo non ha avuto il tempo di fare il terzo volume. Giustamente Giuseppe Zagarrìo ha parlato anche tra noi di inclusione e esclusione toccando proprio il punto debole della organizzazione dell’antologia, ma di quanti volumi avremmo dovuto fare questa antologia? Lo lo so e tutti lo sanno che Giuseppe Addamo andava incluso e Mariella Bettarini e Luciano Cherchi e Franco Maniscalchi così come sono entrati Emanuele Mandarà e Antonino Cremona e Antonino Corsaro con la narrazione per Camillo Torres. Si tratta di gente fine, gentile. Ma perché un antigruppo non può essere elegante? Perché si deve pensare che gli antigruppo debbano essere tutti volgari? Nossignori, antigruppo sono gli eleganti e gli altri, per questo si chiama antigruppo, altrimenti sarebbe gruppo. Ed è stato piacevole, un’estate qui a Trapani, in un ristorante, mentre mangiavamo il pesce di Trapani, sentire la schermaglia linguistica tra Franco e Antonino Cremona; una vera gara tra l’ironia agrigentina e quella trapanese. A volte sembrava che Cremona dovesse avere la meglio ma veniva subito rintuzzato da Franco e nei loro occhi si poteva leggere l’ammirazine che uno sentiva per l’altro mentre le parole fendevano l’aria e raddoppiavano triplicavano centuplicavano il significato. I due si capiscono a perfezione, Cremona raramente si scompone, anche se ultimamente, a Bologna, lasciò cadere il suo bicchiere di vino — ma sono momenti rari — quando io e qualche altro descamisados abbiamo cominciato a gridare. Andò a sedersi a un altro tavolo perché egli è fine equilibrato aristocratico. Ma non dovete fraintendermi, Cremona ha una coscienza, una morale pura e genuina, anche lui. Con tutta la sua predilezione per i migliori, ha, come dicevo, una morale che lo guida nella scelta. Così, come quando si doveva firmare per avanzare la protesta contro la magistratura nei riguardi della condanna di Alfredo Bonanno. Dobbiamo chiarire che Cremona non è affatto d’accordo con quello che vuole dire e dice Bonanno, m3 è d’accordo sul fatto che Bonanno sia libero di parlare e scrivere come vuole; Cremona ha firmato contro la legge del codice Rocco. Cremona è un antigruppo, ma antigruppo non è Sciascia il quale non ha valuto firmare perché «signori, le cose non si fanno come le fate voi». Questa coscienza etica e antigruppo di Cremona è il legame che lo allaccia a Franco Di Marco. Per me, è la dimostrazione che in Sicilia, dal ’68 in qua, sta succedendo qualcosa, e sono sicuro che verrà il momento del riscatto. Molti critici trascurano Di Marco perché non ha pubblicato poesie, ma l’antigruppo non è fatto solo di poeti, chiedetelo al dottor Cavarretta o a Natalia Cali o a Fara, sono antigruppo anche loro, ma non scrivono poesie. In verità Franco Di Marco l’anima poetica ce l’ha, tanto è vero che ha tradotto in maniera brillante molte poesie di Santo Cali e fu proprio Santo a dirmi una volta «quel ragazzo ci sa fare, in verità io preferisco le sue traduzioni ma non posso dirlo forte, qualcuno potrebbe offendersi». Io sono convinto che è riuscito brillantemente nella traduzione della poesia di Robert Bly, eppure nessuno ci ha fatto caso, sfido chiunque anche Carlo Izzo a fare un lavoro migliore. Santo Cali, invece, aveva capito Franco Di Marco e ogni tanto ripeteva «lo, Agata e tu, Franco Di Marco». E fu proprio Franco Di Marco che, alla biblioteca di Mazara durante la presentazione dell’antologia Antigruppo 73, avvicinandosi al tavolo degli oratori — da dove Rolando Certa aveva detto a tutti che Rolando Certa aveva voluto l’antologia, che Rolando Certa aveva faticato perché si facesse l’antologia — mentre i dicitori si alternavano sulla pedana per leggere una poesia di Rolando Certa e una di Antonio Saccà, una della Bettarini e di Luciano Cher- chi e di Gaetano Salveti, Franco dice: «Scusate, signori, ma il più grande poeta di questa antologia e della Sicilia, forse di tutti i tempi, scusate, secondo la mia modesta opinione, è Santo Cali. Non tutti i giorni nasce un Santo Cali, chiedetelo a Ignazio Buttitta o a Leonardo Sciascia. Essi lo sanno, ma lo diranno? Voglio dunque farvi sentire una poesia di Cali». Immagino che aver dimenticato Cali in quella sede sia stata soltanto una svista perché so che il cuore di Rolando è un cuore d’oro. E poiché c’era al tavolo anche Ignazio Apolloni che ripeteva antigruppo antigruppo e sembrava molto soddisfatto di ciò che l’antigruppo aveva partorito, Franco Di Marco, stizzito molto, gli fece ricordare che l’antigruppo non era stato seppellito affatto, come lui aveva predetto alcuni anni prima, anzi era vivo e vegeto, e, «caro Apolloni, abbiamo memoria più lunga degli elefanti, non dimentichiamo quello che tu hai detto a Palermo a proposito dell’antigruppo quando fu presentato il libro di Nat e tutti volevano fargli il funerale. Ora con soddisfazione vedo che tu ora sei antigruppo antigruppissimo e tua moglie e tuo figlio e la cameriera sono antigruppo pure loro». Ecco chi è, e cosa dice questo TP che ama Trapani con tutti i difetti che ha. «A Trapani non esiste cultura», disse Gaetano Testa a Palermo davanti a Franco e questi si ribellò: «a Trapani esiste l’antigruppo» di cui Franco ha capito molte cose che ad altri sono sfuggite come questo principio: che ognuno accetti la realtà dell’altro non imponendo la propria realtà, la propria esperienza il proprio linguaggio…, oppure l’altro: che ogni cosa sia diversa dall’altra, che si mettano in rilievo non le somiglianze tra le differenze, tra governi, tra popoli, tra scrittori, poeti, tra le persone comuni. Franco è il più grande sostenitore della libertà locale, quella libertà che egli quotidianamente esprime e che dobbiamo tutti tutelare. Viva la provincia! viva Trapani!