Forse il mio è un sogno. Ma può essere anche il tuo. Un sogno antigruppo. Non importa se principio o fine; ho imparato che il principio può esser la fine e che la fine è il principio. Il sogno c’è perché un ultimo deve almeno avere il diritto di sognare, sognando spera e intanto dal cielo blu lontanissimo giungono avvertimenti e echi. Si sente: ingenuii… primitiva… chi siete? Ma ieri sera ho sognato e né echi né avvertimenti di Ignazio Buttata potranno annullare questo mio sogno, perché quando tu sogni in verde, rosso o blu, i colori ci sono e allora anche il sogno c’è. Il sogno è, se lo sogniamo. Non è quando non si spera. Non puoi dire che il sogno non c’è fin quando resta un solo Antigruppo. Dove finisce l’essere, l’essere non è; e dove finisce l’essere, il non essere è; e lì dove finisce, tra l’essere e il non essere ci sono io e ci sono tutti gli Antigruppo. Ieri sera ho sognato rivoli di luce. Sotto, c’eravamo tutti: Terminelli, Cane, Rolando ecc. Tacendoci strada a gomitale cercavamo di andare avanti nella speranza di vedere qualcosa che stava più in là, sempre alla ricerca di dò che non si vede. Ogni tanto sorpassavamo gruppi isolati che, dissan- guati per lunga corsa, andavano lenti privi di ogni energia. Altri, per arri- vare prima si erano persi in viottoli e scorciatoie diventando ex gruppi, come la Scuola di Palermo e il Gruppo 63, ma noi andavamo avanti e con- tavamo gli isolati: 1968, 69, 70, 71 ecc…, da Quartiere a Quartiere, da Quindici a Anti, in una marcia forsennatamente antigruppo; per uno che ci lasciava, un altro se ne aggiungeva, antigruppo antigruppo; col fiato mozzo e la lingua di fuori avevamo il coraggio di litigare «sei con noi o contro di noi?» rosicchiando sulla questione e sognando sogni dentro sogni, capovolgendo sogni perché la fine diventa principio e il principio la fine. Una lunga scala senza ringhiera, tutti volevamo salire e arrivare nel piane- rottolo ultimo perché lì c’erano donne bdlissime, equivoche, però. Prosti- tute, sicuramente. «Vado avanti io, perchè tu?» e ancora gomitate. «Attenzione, non c’è ringhiera», gridava qualcuno. «E beh?» gridavano gli altri, «tu non tenti di salire?». Ala in quel pianerottolo non si giungeva mai. Cane sbuffava, Terminelli si teneva il rene, io mi fermavo ogni tanto per prendere respiro, Rolando correva, Ignazio saltellava, Carmelo lo seguiva e Pietro: «Voglio arrivare primo» e da«a un colpo di gomito in risposta. Che faticaccia! come si soffre correndo per arrivare! La scala si allungava davanti a noi mentre le belle donne ci guardavano con sussiego. Nella furia di arrivare, magari precipiti giù; la Bompiani, la Mondadori, la Feltrinelli sono lì e tu davanti a loro scivoli, cadi dalla scala senza ringhiera e resti a pancia a terra, la mano protesa. «Che bella donna quella che stavo acchiappando, ragazzi, però non ci capisco niente, preferisce quel vecchio di Buttitta. Guardatemi se c’è confronto tra me e lui!», grida Crescenzio, ma non finisce ché sua moglie gli si para davanti: «Te lo avevo detto io, corri corri, cerca cerca, ma è possibile che non capite che quelle sono tutte put- tane?». E a lei fanno coro le altre mogli, «non l’hanno capito, non l’hanno ancora capito». E sognai che qualcuno ultimo era arrivato, forse Santo, per via aerea, mentre gli altri antigruppo tiravano fuori la spada a menare colpi a manca e a dritta a tutti i raccomandali che scappavano e s’infilavano in piccoli buchi per non essere scovati, si appiattivano nelle fessure del grande palazzo dell’establishment. Topi schifosi! È quello che vogliamo diventare? No. Assolutamente no, non è vero, Alfredo? A uno a uno cominciammo a scendere con passi esitanti cercando lo scalino di sotto con tanta paura di cadere, rifacendo a uno a uno gli scalini mentre la nebbia, lo smog e le nuvole si diradavano ( Immagini di Nicolò D’Alessandro ’74 ) tra un cirro e l’altro si poteva vedere brillare il sole laggiù dove rosseggia la cima dell’Etna e dove si orna di nebbia, soltanto qualche volta, quella di Erice. Poi, il sole brilla su tutti, finalmente. Ai piedi della scala c’è Pasquale Marchese con un sorriso luminoso quanto il cielo della Sicilia: «Qui vi aspettavo! ci siete tutti?». Pasqualino non si muove mai dal Sud, figuratevi che non lascia la Sicilia nemmeno quando sua moglie norvegese decide di andare a vivere per qualche tempo al suo paese. «Che i Vichingi vengano in Sicilia, se vogliono, ma non sia mai che io vada a vìvere al Nord dove il sole non brilla e il cielo manca di luce. I siciliani non possono cambiare niente in Sicilia se vanno al Nord», dice lui mentre il sole gli fa scintillare l’unico dente che ha in bocca, cartellone stradale a segnare la vìa del Sud, «l’epica dei siciliani va scritta in Sicilia, che vi importa se le scale per il Nord hanno o non hanno ringhiera?». «Dici giusto, Pasqualino». E fu un coro generale. «Da Parigi tornerà Alfredo Bonanno, e da Firenze Giuseppe Zagarrìo e da Modena Giuseppe Addamo, da Roma Antonio Saccà, vedrai che torneranno!». «E io non sotto tornato dall’America?». Capovolgiamo il pessimismo di Sciascia conte- stando anche ì versi di Gianni Diecidue, perché non è vero che «tutte le vie portano al Nord e non tornano al Sud». Le vie tutte portano al Sud.