Pietro Terminelli
Da un saggio “LA MANO L’OCCHIO E LA MENTE”
Involucro, Palermo gennaio 1994.
Seguono ora nella processione dopo un’ora di congreghe i nati più vicini a Dio, al SS. Sacramento e qui la poesia si amalgama nel tratto e nel disimpegno-impegno di liquefare gli apporti giuridici di esigui, melensi intrugli del dire e del fare di ottima azione degli “Enunciati” di Luigi Di Ruscio, un poeta emarginato, ma riconosciuto nel tempo, da operaio emigrato in Norvegia, ma da lì sempre legato alla madre patria, l’Italia, un luogo infernale di coazione conforme allo spettacolo di iniziative ora buone, ora eccellenti. Ma lontano anni luce dalla perfezione che richiede la letteratura, la poesia in ispecie, ora il fascino dovizioso, si estende rapido e solenne nella mercanzia a libro aperto. “Il pianeta è ora nella sua più splendente chiarezza / il pendolo dell’oscurità sta per precipitare verso la fine / vedremo il sole spostarsi verso la costellazione del capricorno / vedremo un asteroide passare tra l’orgoglio dei pianeti / l’asteroide passerà tra i pianeti morti a precipizio”, eccetera. Un incipit di colorazione “L’uomo discende dalle scimmie o dai maiali”; “la guerra per l’internazionalismo e il comunismo / è stata lunga e terrificante / come è lunga e terrificante la vita operaia”
Ora qui si chiude l’assioma “come lunga e terrificante la vita operaia”, con tutte le sfumature delle lotte sempre in atto di chi è padrone solamente di toccare la merce con le proprie mani, ma non per possederle.
In questa fase di lotta, di sperpero dei principi comunisti “discendiamo da scimmie operaie esatte” e il martellamento condusse una serie di lotte e congiure.
Siamo nella parte centrale della mente, assorbito l’occhio e la mano nell’inazione-azione di consumo del prodotto mercificato, tutto soccombe e s’intreccia “scaraventando nel fango le bandiere”: La mercificazione della classe operaia porterà “uno scheletro operaio…/ nel museo delle civiltà industriali” / mentre “un altro andrà a finire nell’orrore / del museo antropologico di Londra”.
Ma non mancano le situazioni conformi al privatismo, anche nell’azione condotta dall’occhio sempre vigile dei temi compunti dal Di Ruscio. Si vede il numero 8 “quando improvvisamente rivedo una mia poesia”.
Ma i ricordi sono lontani, accostati nella vicinanza del pensiero, e da qui “i mezzadri ancora urlavano per i nuovi patti colonici / armato di un binocolo da teatro scrutavo i satelliti di Giove /” dove l’azione si esaurisce con una forte immagine, a nascondere una verità sacrosanta modellata alla vecchia maniera d’intendere.
L’atto coscienziale è ovunque, anche per chi sa di aver perduto una lotta: e così “se scoppierà la catastrofe termonucleare si salveranno / gli ultimi paesi della Grolelandia / gli esquimesi ridiventeranno i padroni della loro terra congelata”.
Pietro Terminelli