PREFAZIONE
Nat Scammacca è uno di quegli artisti, di quegli intellettuali siciliani, che pochi anni fa insorsero contro gli usi e costumi clientelari della cultura del nord chiamandosi in una loro fervida, spregiudicata rivista antigruppo. Sempre con le valigie pronte, magari legate con uno spago, per attraversare lo Stretto, invadere il continente e in qualche Congresso dire la verità nient’altro che la verità.
Ma non è facile arrivare in fondo alle proprie vocazioni collettive in un paese condizionato nelle sue pieghe più recondite da una civiltà sapientemente, se non proprio accademicamente, individualista. Questi giovani, pertanto, lo avrete capito, sono rimasti là, sempre più arroccati sui loro singoli lavori, le cui fiammate liriche ogni tanto si vedono fin da quassù.
Una volta li andai a trovare e passammo due giorni felici in mezzo ai progetti, ai templi, alle saline trapanesi. Poi dovetti occuparmi del mio corpo, finché un giorno (nel ’71) Scamacca mi mandò un suo dattiloscritto, un romanzo vero e proprio. Mi sembrò che avrebbe dovuto piacere anche agli editori milanesi, perché rispecchiava un problema abbastanza nuovo, quello italo-americano (anche nel nome, com’è il nostro Nat), conteso tra le due patrie. Il libro era fin da allora pieno di andirivieni, di traversate, di passioni, alla ricerca di un terzo luogo dove definirsi finalmente nel fisico, nei sentimenti, nei concetti per starci, se oggi è possibile, un po’ più in pace.
Ora, all’improvviso, in questo 1978, il mio amico mi fa sapere che sta per dare alle stampe Due Mondi, e allora mi ricordo la vecchia promessa di testimoniargli la mia stima specifica con una pagina di prefazione. Essa spetta sia all’isolano che al metropolitano qui congiunti, come si sono congiunti, nel suo linguaggio pagato di persona, il poeta a monte e il prosatore a valle.
Cesare Zavattini