La poesia dell’Antigruppo siciliano è quella della parola e dei segni che ha voluto essere pensiero in azione, gesto, relazione con il tempo e la storia per metterne a fuoco determinismi, spaccature e prospettive; ha cercato di essere significanza in cammino tra continuità e rottura col passato; interazione dei segni e testi plurali, conflittuali, con equilibri sempre instabili e mai definitivi di soggettività individuali antagoniste e complementari con un “noi” altrettanto plurale e differenziato. Il “noi” di cui Calì ha messo bene in vista la particolarità del terreno storico- sociologico e le stesse possibilità d’azione: sempre sospese tra volontà combattiva, remore e smorzamenti di varia natura. È stata l’esperienza di una soggettività collettiva plurale (l’Antigruppo), soggettività materiale e storica ANTI, che nella complessità del reale portava bi- sogni variegati e plurimi; un ANTI plurale che si proiettava verso il futuro tentando ancora la possibilità di un progetto di vita alternativo a quello del mercato occidentale (liberista) e orientale (pianificato) che il mercato, disciplinato e ramificato, voleva controllare fino al midollo e nelle pieghe più intime del tessuto sociale con la microfisica del sapere e l’uso dell’informazione manipolata ad hoc. I blocchi contrapposti esercitavano lo stesso tipo di dominio e di potere amministrato verso il basso, e l’opposizione Usa e Urss di allora, in questo, non differivano nonostante i rispettivi sistemi fossero sostenuti da ideologie contrapposte. Per rendersene conto basterebbe, oggi, guardare verso le cosiddette campagne propagandistiche scenate ad hoc contro il terrorismo o le civiltà dell’<> cui convergono i governi di destra e di sinistra del mondo all’insegna del “pensiero unico” e di “fine della storia”, e in nome dell’uomo “universale” quanto genericamente metafisico della civiltà americana e occidentale del liberismo capitalistico e borghese.
I movimenti ANTI, senza ridurli all’ambiente borghese dal quale sono nati, non sembra abbiano accusato i limiti di una rivoluzione della lingua consumata solo nella lingua. Hanno avuto ben altre “resistenze”, e alla stregua di altre avanguardie nate altrove hanno demistificato l’uomo generico e universale del realismo borghese tinteggiato di umanesimo di classe. Quell’uomo generico che oggi nell’era della rivoluzione informatica e telematica – la tecnica che ha modificato le forze di produzione ma non i rapporti di produzione, che rimangono sempre quelli dello sfruttamento di classe – viene riproposto come creatività universale individuale innata; una potenzialità che ognuno, con un PC (personal computer) in mano, a casa e senza vicoli di orario e organizzazione, ecc., può sfruttare per arricchirsi lavorando secondo il proprio talento, e convinto che il proprio e privato interesse sia la molla dello sviluppo sociale.